Pubblico un interessante articolo di approfondimento sull'antico Egitto che mi ha inviato l'archeologa Donatella Fabbri.
Nell'antico Egitto, la professione di scriba rivestiva grande importanza: questa qualifica, semplicemente un titolo generico per indicare un funzionario in grado di leggere e scrivere in maniera corretta, era, spesso, il primo gradino per iniziare una carriera – in ambito amministrativo, nell'esercito, nel clero, nella politica – che offriva la possibilità di arrivare in alto, con ruoli di potere e prestigio, all'interno dei templi più importanti o alla corte del faraone.
Il segno geroglifico pertinente alla parola "scriba"( sesh ) mostra gli strumenti di lavoro: tavolozza dei colori usati per scrivere, stilo, contenitore dell'acqua che serve per sciogliere l'inchiostro.
Conosciamo anche il titolo al femminile ( seshet, la donna scriba), usato raramente e solo nel Medio Regno. Se ci riferiamo al Nuovo Regno, il titolo non risulta documentato ma, in alcune tombe tebane, troviamo gli strumenti della professione raffigurati sotto i sedili di donne che, come risulta dalle iscrizioni, appartenevano ad un ceto elevato. C'è, poi, un'unico caso certo in Età Tarda, nel corso della XXVI dinastia: una "donna scriba della divina adoratrice", il cui nome è Irtuiru .
Non conosciamo raffigurazioni di donne scriba al lavoro e i documenti sono davvero scarsi. Tutto questo potrebbe portare alla deduzione che "donna scriba" sia l'abbreviazione di "scriba della bocca di lei". Forse, soltanto una truccatrice?
Sia chiaro che, anche se la supposizione fosse vera, molte donne di classi sociali privilegiate, sapevano, presumibilmente, leggere e scrivere. Ci sono lettere e poesie amorose con un soggetto femminile. Anche in questo caso, però, non esiste la certezza assoluta perchè c'è la possibilità che queste testimonianze letterarie siano state scritte da scribi uomini, sotto dettatura. L'antico Egitto era un paese dove era riconosciuta parità di diritti tra uomo e donna ma, per quanto sappiamo, le funzioni amministrative private e pubbliche sono sempre state una prerogativa maschile. Per uno stato centralizzato, dove l'impianto burocratico era, fin dall'Antico Regno, estremamente complesso, la funzione dello scriba risultava vitale: la conoscenza della scrittura gli consentiva di redarre documenti per ammistrare le proprietà terriere, calcolare le tasse, censire la popolazione maschile per il servizio militare, prendere nota sui registri contabili delle offerte fatti agli innumerevoli templi sparsi sul territorio, inventariare i sacchi di grano nei magazzini, fissare sul papiro i testi religiosi, sia per i riti celebrati all'interno delle strutture religiose, sia per il culto dei morti. L'elenco non finisce qui e sarebbe assai lungo.
Il notissimo testo della "Satira dei mestieri"- di cui esistono più copie e una di queste, su papiro, al Museo Egizio di Torino – vuole dimostrarci, con una serie di vivaci descrizioni, quanta fatica e quanti inconvenienti ci siano in lavori diversi da quello, comodo e dignitoso, di scriba. L'autore, Kheti, ci spiega con chiarezza lo scopo della sua opera: è un insegnamento per il figlio, Pepi, con l'intento dichiarato di invogliarlo a scegliere uno studio che gli consentirà una vita tranquilla e agiata e scoraggiarlo dall'intraprendere altre strade, con un percorso iniziale più breve e meno impegnativo ma piene di difficoltà e problemi, non appena inizierà ad esercitare il mestiere. Ecco qualche esempio:
– Il vasaio porta terra, la sua esistenza è come quella di una bestia. Il fango lo imbratta più di un porco…..le sue vesti sono rigide a a causa dell'argilla….
– Il fochista ha le dite fetide che puzzano come cadaveri. I suoi occhi sono infiammati a causa del fumo……..
– Ti parlo anche del pescatore, che sta peggio di ogni altro mestiere, essendo a lavorare nel fiume, in mezzo ai coccodrilli.
E via di seguito, con il fabbro, il falegname, lo scalpellino, il muratore, il barbiere, il giardiniere, il contadino, il tessitore, il fabbricante di frecce, il lavandaio ed altri ancora. Al povero Pepi non mancavano certo gli argomenti su cui riflettere! Sarebbe interessante sapere – purtroppo non ce ne è data la possibilità – cosa, infine, avesse deciso per il suo futuro, dando per scontato che Kheti fosse un padre comprensivo e gli abbia permesso di scegliere liberamente.
A cura della Dott.ssa Donatella Fabbri per i Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
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