Il maestro aveva conosciuto a Parigi Camille Du Commun Du Locle, al quale aveva affidato la scrittura del libretto del Don Carlos (1867, in collaborazione con Joseph Méry) e la traduzione dei libretti del Simon Boccanegra, della Forza del destino (poi gli affiderà anche Aida e i primi due atti dell’Otello).
Du Locle si fece portavoce della richiesta del direttore del teatro del Cairo (teatro che era stato costruito in sei mesi sotto la direzione dei due italiani Rossi e Avesciani) di scrivere un’opera d’ispirazione egiziana.
Verdi non accettò subito l’incarico. Verdi era molto famoso e non aveva voglia di perdere tempo con progetti poco interessanti e poco remunerativi (soldi). Nel 1869 aveva già rifiutato di scrivere per Draneht Bey, sovrintendente dei teatri Kediviali, un’ode per celebrare l’apertura del Canale di Suez. Quindi non disse subito di sì. Fra i motivi che lo indussero ad accettare dobbiamo considerare che il soggetto lo interessava molto (scrive a Du Locle “Ho letto il programma Egiziano.
E’ ben fatto; è splendido di mise en scène e vi sono due o tre situazioni, se non nuovissime, certamente molto belle. Ma chi l’ha fatto? Vi è là dentro una mano esperta, abituata a fare, e che conosce molto bene il teatro.”), che i soldi che gli furono promessi erano molti (Verdi farà di tutto per tenere segreta la somma pattuita con il viceré dell’Egitto di centocinquantamila franchi) e che, nel caso di un suo rifiuto, si era già pensato di commissionare il lavoro ad altri grandi musicisti, quali Gounod o Wagner (probabilmente Du Locle convinse definitivamente Verdi con una lettera del 14 maggio 1870, alla quale allegava un biglietto dell’egittologo Mariette, cui si deve il primo abbozzo della storia di Aida, che si concludeva in modo astuto con la seguente frase: “Si M. Verdi n’acceptait pas, S. A. vous prie de frapper à une autre porte (…..) On songe à Gounod et meme à Wagner. Si celui-ci le voluait il pourrait faire quelque chose de grandioso“.
Cosa c’entra Wagner Il riferimento a Wagner è un po’ velenoso, perché Verdi all’apice della sua carriera soffriva un po’ per il grande favore con il quale si guardava, in quel periodo, all’opera di Richard Wagner, talmente lontana dal suo modo di fare musica che risultava spesso essere un’implicita condanna del lavoro del grande compositore italiano. A tale proposito possiamo ricordare che Verdi andrà a vedere di persona il Lohengrin a Bologna il 19 novembre 1871 (diretto, fra l’altro dall’amico-nemico Mariani), provvisto di spartito, per farsi un’idea del nuovo astro della musica, divenuto famoso con grande scandalo nel 1861. Non dirà mai che cosa pensa di lui, ma sarà amareggiato dall’ondata di wagneriani nostrani che lo tratteranno con sufficienza e che lo accuseranno addirittura (cosa impossibile) di aver preso da Wagner motivi utilizzati nell’Aida. Va detto che Verdi condivideva l’idea di far sparire alla vista l’orchestra (“Quest’idea non è mia è di Wagner, è buonissima”). In privato esprimeva il suo rammarico per una moda che contraddiceva tutta la nostra tradizione, tradizione alla quale sentiva di appartenere.
Sul piano storico-informativo, l’Aida si basa su un “programma” steso dall’egittologo francese Auguste Mariette, che era stato conservatore al Museo del Louvre e dal 1858 era direttore degli scavi archeologici in Egitto, forse in collaborazione con il viceré dell’Egitto Ismail Pascià. Queste “quattro paginette”, come le definisce Verdi in persona, non sono mai state ritrovate. O meglio, dovremmo dire che non quattro, ma ventitré pagine che portano il titolo di Aida, opéra in quatre acte et en six tableaux, sono state recentemente ritrovate nella Biblioteca dell’Opera di Parigi. Questo abbozzo, ricchissimo di riferimenti scenografici, è un po’ diverso dal libretto finale: per esempio accanto al sacerdote Ramfis c’è Termouthis, “gran sacerdotessa del tempio di Vulcano”. Verdi, insomma aveva avuto (e nelle lettere di questo periodo chiede continuamente) molte informazioni e documenti su come si viveva in Egitto al tempo dei Faraoni. Per esser sinceri, spesso Verdi chiedeva informazioni per poi non tenerne in nessun conto. Anche se il suo amico ed editore Giulio Ricordi gli forniva delucidazioni su tanti aspetti della vita dell’antico Egitto, il musicista non si preoccupava moltissimo di essere pignolo sui costumi egizi.
Alcuni esempi? I faraoni comandavano di persona le battaglie (il re e non Radames avrebbero dovuto affrontare, quindi, gli Etiopi), non facevano mai ricorso alla sorpresa per combattere, non innalzavano archi di trionfo, non usavano trombe da cerimonia e non adoravano il dio Vulcano (ma su questo punto dobbiamo tenere presente che Erodoto, lo storico greco del V sec. A.C., parla del dio Ptah, che equivale ad Efesto, il dio greco del fuoco, al quale, nella cultura romana corrispondeva, per l’appunto Vulcano). In ogni caso, dovremo sempre prendere con una certa cautela i riferimenti agli usi e costumi egizi descritti nell’Aida: più in generale dovremo accettare che l’Egitto immaginato da Verdi (e da moltissimi altri autori occidentali) è un Egitto magico, immaginato, più che conosciuto, nel quale gli europei riconoscevano e trovavano conferma alle loro idee, spesso prive di fondamento scientifico, ai loro pregiudizi.
Diremmo, anzi, che in alcuni casi questo fenomeno, che si usa chiamare ESOTISMO, se da un lato permette di immaginare cose fantastiche e meravigliose, dall’altro consente di giudicare e parlare di fatti, persone, fenomeni che ci interessano da vicino, sotto il travestimento straniero di un paese lontano nel tempo e nello spazio.
Concretamente, per esempio, potremmo dire nel caso dell’Aida che Verdi abbia detto la sua opinione su due fatti che non hanno niente a che fare con l’Egitto, ovvero, la guerra franco-prussiana del 1870 e la conquista da parte italiana di Roma (anche se il Regno d’Italia era infatti nato nel 1861 – avrete sentito parlare dei festeggiamenti per il 150 esimo anniversario di questo evento – Roma era rimasta, grazie alla difesa affidata alle truppe francesi, estranea all’unificazione. Questa “questione” che per alcuni andava risolta con la forza, aveva appassionato molti italiani, che non ritenevano né Torino né Firenze le degne capitali del nuovo stato italiano). In che modo questi due temi sono rintracciabili nell’Aida? E come facciamo a dirlo?
Beh, molte informazioni le possiamo trarre dalle lettere che Verdi ha scritto agli amici e ai collaboratori; questo patrimonio di epistole (in latino vuol dire “lettere”) scritte e ricevute dal grande compositore, sono un po’ lo specchio del suo pensiero. Spesso Verdi si dice preoccupato per le sorti della Francia e per l’indole del popolo Prussiano (oggi noi li chiamiamo Tedeschi) e per la convivenza del governo italiano con le gerarchie della chiesa. Non ci dimentichiamo che l’opera che Verdi aveva scritto prima di Aida, il Don Carlos, era centrata proprio sul tema dell’uso della religione per limitare la libertà e che Verdi era ateo e molto sospettoso del comportamento politico degli uomini di fede.
In una lettera ad Antonio Ghislanzoni, l’autore del libretto, Verdi farà delle considerazioni che sono veramente molto interessanti. Infatti, commentando la guerra che ha portato la Francia alla sconfitta, Verdi suggerisce l’aggiunta di alcuni versi e cita i telegrammi del re Guglielmo di Prussia “Abbiamo vinto coll’aiuto della divina provvidenza. Il nemico si è reso. Iddio ci aiuti anche per l’avvenire” e più tardi aggiungerà “E quel re che ha sempre in bocca Dio e la Provvidenza, e coll’aiuto di questa distrugge la parte migliore d’Europa. Egli si crede predestinato a riformare i costumi, a punire i vizi del mondo moderno!!! Che stampo di missionario! L’antico Attila (altro missionario) si arrestò davanti la maestà della capitale del mondo antico; ma questi sta per bombardare la capitale del mondo moderno…”. Verdi inoltre è preoccupato dal fatto che la guerra non sia nata per questioni territoriali, ma è una “guerra di razze”. Questa preoccupazione s’intreccia con una preoccupazione molto concreta: Verdi non poteva andare in scena come previsto nel gennaio 1871 (debutterà il 24 dicembre) perché le scenografie erano bloccate a Parigi dall’assedio prussiano.
Se ci pensiamo l’Aida parla di questo. Anche il civile Egitto invade, combatte, distrugge, in nome della civiltà e della religione.
Verdi concepisce uno spettacolo grandioso, pensato sì per stupire, come stupivano in Francia le grand opera, ma che si muove continuamente fra brani musicali, poi diventati famosissimi, come la marcia trionfale, e scene che esaltano i momenti nei quali più spettacolare appare il trionfo della potenza egizia e l’intimità dei personaggi principali, che soffrono per le passioni più umane, come l’amore, il desiderio di potenza, la vendetta. Sin dal principio del lavoro, lo stesso Du Locle si rende conto che Aida deve essere uno spettacolo nuovo, originale, che parli dell’antico Egitto attraverso la musica, le scenografie, i costumi, ma in modo elegante, raffinato, senza mai scadere in una successione scadente di scene slegate fra di loro.
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