Pubblico un interessante articolo di approfondimento sull'antica Grecia che mi ha inviato l'archeologa Gianna Senesi
Le innumerevoli opere scritte, che raccontano della vita quotidiana, le fonti iconografiche (come le pitture vascolari) e i tanti ritrovamenti (come specchi, cesti e fusaiole), hanno permesso agli archeologi di ricostruire un quadro chiaro sul ruolo della donna nell'antica Grecia.
L?argomento è davvero molto vasto; qui affronteremo, per punti principali, la figura della donna nel periodo arcaico e classico (VII-IV sec. a.C.).
In Grecia, ad Atene, la donna libera, di buona famiglia, non aveva un ruolo sociale; fulcro della società ateniese era il nucleo familiare, per cui il destino di ogni donna era quello di sposarsi e di mettere al mondo dei figli, preferibilmente maschi, vista l?importanza che aveva la continuazione del gruppo. Il matrimonio era inteso come un contratto che si fondava sul concetto di dono, nel senso che la donna quando si sposava, veniva ?data in dono? con le sua dote dal padre, o dal tutore, al futuro sposo. In caso di divorzio (ad esempio, per l?adulterio della donna), la sposa tornava alla casa paterna con la propria dote, i propri effetti personali e i propri gioielli. Nel matrimonio i due sposi avevano ruoli e compiti distinti: l?uomo si occupava degli affari, del lavoro, della vita sociale, mentre la donna era destinata ad occuparsi del buon andamento della casa.
La donna trascorreva, quindi, la giornata nel gineceo (stanze a assegnate alle donne) dove sotto la sua tutela vivevano anche i figli, e le schiave, cui la padrona di casa assegnava i vari lavori domestici. Essa filava e tesseva, controllava il lavoro affidato alle schiave e organizzava le cerimonie familiari e i banchetti, ai quali, però, non prendeva parte. I bambini trascorrevano le giornate ascoltando storie e racconti di eroi (o le favole di Esopo), oppure giocando con trottole, piccoli animali di terracotta, bambole snodabili. I figli maschi restavano nel gineceo fino a sette anni, età in cui cominciavano a frequentare la scuola di un maestro, per imparare a leggere, scrivere e fare i conti, mentre le bambine restavano nel gineceo sotto la tutela materna.
La donna usciva in rare occasioni, come le feste di matrimonio o le feste religiose. In effetti, il solo campo della vita sociale in cui le donne potevano godere degli stessi diritti degli uomini, era proprio quello religioso, in quanto le donne sposate e madri di famiglia, con un?ottima reputazione, potevano essere elette sacerdotesse.
L?uomo poteva anche convivere con una concubina, che dal punto di vista dei doveri era parificata alla moglie, ma non godeva di alcun diritto; infine accanto all?uomo poteva esserci anche un?etèra, una donna colta, educata fin da piccola a fare compagnia all?uomo e sostenere conversazioni di alto livello su vari argomenti; lo accompagnava dove non erano ammesse la moglie e la concubina (ad esempio, ai banchetti) e aveva col ?compagno? un?intesa prevalentemente intellettuale.
A Sparta, invece, le donne godevano di una maggiore libertà, in quanto venivano educate fuori casa, frequentavano le palestre, potevano non occuparsi della casa e non curarsi della crescita dei figli. Era più importante dedicarsi alla danza e agli esercizi ginnici, così da fortificarsi e dare alla luce figli più sani e robusti. Come è noto, infatti, Sparta aveva al centro dei propri interessi lo Stato, che doveva sopravvivere attraverso l?incremento della popolazione: quindi, fondamentale era assicurare alla città uomini forti e validi, anche se non legittimi. Poteva, infatti, accadere che un marito non più giovane facesse giacere la moglie con un giovane particolarmente prestante per far nascere figli perfetti, che poi lui avrebbe riconosciuto come suoi.
A cura della Dott.ssa Gianna Senesi per i Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
Continua l'avventura dell'Archeologia con Picchetto l'Archeologo.
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